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Limiti e fragilità del Pescara, in ogni caso è già un successo esserci

Limiti e fragilità del Pescara, in ogni caso è già un successo esserci

PESCARA, 27 ottobre – E’ inutile prendersi in giro, Pescara non è una città di serie A. Nei decenni passati forse lo è stata, quando il commercio cittadino brillava e l’edilizia contribuiva all’espansione dei confini. Negli ultimi anni quella città, con il suo tessuto economico e sociale, non esiste più. Colpa di una crisi che si respira per le strade e che non ha risparmiato nessuno.

Una premessa doverosa, perchè deve essere chiaro a tutti che se la squadra di calcio cittadina oggi è nell’olimpo del calcio, è già un mezzo miracolo. Siamo onesti: cosa c’entra Pescara con multinazionali del calcio come Juventus, Inter, Milan, Napoli, Roma o Fiorentina? Con che armi può battersi il Pescara contro il Sassuolo di Squinzi o contro il Torino di Cairo? Come può competere, più in generale, l’economia pescarese con quella del Settentrione industriale e opulento, capace di esprimere realtà solide e di successo come Udinese, Atalanta, Chievo, Genoa e tante altre? Forse a qualcuno sfugge che, senza considerare il Napoli del magnate De Laurentis, le uniche due squadre che giocano in serie A, a sud di Pescara, sono Crotone e Palermo, ovvero i soli due club che finora hanno raccolto meno punti dei biancazzurri.

Comunque vada quest’anno, non si può non prendere atto di una verità scomoda ma solare: il presidente Sebastiani e i suoi soci stanno facendo vivere a Pescara qualcosa che è al di sopra delle proprie possibilità. Questo non significa, naturalmente, che non possano essere criticati. Ma quando si sceglie di farlo, non bisognerebbe dimenticare il contesto.

“Si dà per scontato che si siano fatte scelte mirate e condivise, ma in realtà è stato un mercato molto condizionato, rispetto al quale abbiamo provato a fare il meglio possibile, per quelle che sono le possibilità economiche della società – ha detto ieri Oddo nel post-partita della gara persa in casa contro l’Atalanta -. Borriello prende più di un milione di euro a stagione, Pinilla non veniva ceduto dall’Atalanta e noi non abbiamo trovato nulla sul mercato che ci soddisfacesse”.

Parole che, nella loro disarmante sincerità, fotografano tutti i limiti e le difficoltà incontrate dal club biancazzurro sul mercato. Al netto di tutto questo, però, è lecito chiedersi se con le stesse risorse a disposizione si sarebbe potuto fare meglio. Il Pescara, fin dalla prima giornata di campionato, ha denotato limiti strutturali impressionanti. Ogni avversario ha caratteristiche diverse e ogni gara ha messo a nudo, pezzettino per pezzettino e reparto per reparto, le fragilità della squadra. Si è parlato, a seconda delle occasioni, di difesa scarsa, di attacco inadeguato, di mancanza di esperienza, di centrocampo male assortito.

La vera costante, però, è la mancanza di fisicità dei biancazzurri. Alle volte i ragazzi di Oddo, al cospetto degli avversari, non sembrano atleti provenienti da un’altra categoria, ma gente che pratica un altro sport, magari la scherma o il ciclismo. Fa quasi tenerezza vedere pesi piuma come Caprari, Brugman o Verre, andare a contrastare autentici armadi che hanno corsa e muscoli nelle gambe, che sul piano fisico sono due volte i nostri campioncini e che sanno anche giocare al calcio.

Appare dunque lecito domandarsi se non sia stato compiuto qualche errore di valutazione, non tanto nella scelta dei nomi, ma nell’individuazione delle caratteristiche dei giocatori sui quali puntare e dunque, in definitiva, nella costruzione del progetto di squadra. Viene da chiedersi se forse non ci sia stato un pizzico di presunzione nel pensare di poter recitare il ruolo di piccolo Barcellona della serie A, capace di illuminare, divertire e salvarsi dando spettacolo. E c’è da interrogarsi sul tasso tecnico della squadra, che tutti pensavano particolarmente elevato, ma che alla prova dei fatti appare tutt’altro che irresistibile. Elementi come Verre e Memushaj, ad esempio, ad inizio stagione erano considerati delle assolute certezze e invece, dopo oltre un quarto di campionato, non hanno ancora lasciato il segno. E c’è da chiedersi se giocatori come Aquilani e Pepe, che percepiscono gli ingaggi più elevati nella rosa, rispecchino davvero quei valori o magari non siano state delle scommesse affrettate.

Interrogativi che affiorano con forza, alla luce di quanto espresso finora dal campo. Oddo è bravo e resta una garanzia. L’auspicio è che riesca a trovare la chiave per rimettere in moto quella che l’anno scorso sembrava una macchina delle meraviglie.

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