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Omicidio di Penne, confermata in appello la condanna all’ergastolo per Mirko Giancaterino

Omicidio di Penne, confermata in appello la condanna all’ergastolo per Mirko Giancaterino

L’AQUILA, 19 aprile – Confermata la condanna all’ergastolo, oggi pomeriggio dalla Corte di Assise d’Appello dell’Aquila, per Mirko Giancaterino, 39 anni, pregiudicato e tossicodipendente, ritenuto responsabile dell’omicidio avvenuto a Penne il 13 settembre del 2015. La vittima, Gabriele Giammarino, 80 anni, ex maresciallo dell’Areonautica in pensione, venne trovata cadavere all’interno della sua abitazione in via Bernardo Castiglione.

Giancaterino è stato condannato per omicidio volontario con l’aggravante della crudeltà e incendio doloso. Contro la sentenza di primo grado, emessa un anno fa dalla Corte d’Assise di Chieti, aveva presentato ricorso l’avvocato Melania Navelli, difensore di Giancaterino, che aveva chiesto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e l’assoluzione “per non aver commesso il fatto” o almeno “riconoscendo la formula dubitativa”. In via subordinata il legale aveva chiesto la concessione delle attenuanti generiche e una rideterminazione della pena.

La Corte aquilana, presieduta dal giudice Luigi Catelli, a latere De Matteis, ha invece confermato il carcere a vita per l’imputato. Anche il procuratore generale  aveva chiesto la conferma della condanna emessa dai giudici della Corte teatina.

L’imputato era presente in aula e ha rilasciato una dichiarazione spontanea, attraverso la quale è tornato ad affermare la sua innocenza. Le motivazioni saranno rese note entro il prossimo 15 luglio. La difesa ha già annunciato che farà ricorso in Cassazione.

Secondo quanto ricostruito dall’accusa, Giancaterino entrò nell’abitazione e infierì lungamente sul pensionato, colpendolo con violenti pugni e 26 coltellate, per poi appiccare un incendio all’interno dell’immobile. Alla base dell’omicidio, che l’accusa considera con dolo d’impeto, ci sarebbe il rifiuto della vittima di consegnare del denaro, che sarebbe servito a Giancaterino – che era tossicodipendente – per acquistare droga.

Ad inchiodare Giancaterino sarebbero le immagini riprese da una telecamera di videosorveglianza che si trova lungo la strada in cui abitava la vittima, la testimonianza della badante che abitava al piano di sotto e  le gocce di sangue rinvenute sulle scarpe e sui pantaloni della tuta che indossava quel giorno.

Secondo l’avvocato della difesa, invece, le argomentazioni dell’accusa si fondano sulla “totale assenza di riscontri probatori, richiesti insistentemente dalla difesa proprio al fine di accertare la verità e a carico di Giancaterino esistono soltanto indizi. C’è stata una violazione dei diritti della difesa – ha concluso Melania Navelli -. Le richieste istruttorie da noi proposte non sono state ammesse, nell’ambito di un processo che si è basato sulle carte processuali e non sulle prove”.

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