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Tutto cominciò con Flaiano, poi il Tsa e L’Aquila. Proietti, mattatore senza tempo

Tutto cominciò con Flaiano, poi il Tsa e L’Aquila. Proietti, mattatore senza tempo

L’AQUILA, 2 novembre – E’ nascosta nelle pieghe di una carriera immensa la prima stretta di mano tra l’Abruzzo e Gigi Proietti: quella che si consumò in dieci minuti di genio al suo esordio in teatro. Quando, con fantasia fulminea, in dieci minuti appunto, mise in musica una delle preziose chiavi di lettura che Ennio Flaiano aveva del mondo. Era il 17 dicembre del 1963 e Proietti sul palcoscenico del Teatro Arcobaleno debuttava ufficialmente a teatro nel “Can can degli Italiani” di Giancarlo Cobelli.

L’ironia sarà il tratto distintivo del Proietti attore, di teatro, di cinema e di televisione: il suo marchio di fabbrica indiscusso e inimitabile.

A poco più di cinque anni da quell’esordio la stretta di mano diventa, tutto sommato, amore. Complice del colpo di fulmine è Antonio Calenda, arrivato a dirigere il Teatro Stabile dell’Aquila, che vuole Gigi Proietti protagonista del suo “Dio Kurt”, dalla penna di Alberto Moravia. C’è Alida Valli, tra gli altri, a dividere su quel palcoscenico un testo difficile e magnifico.

E’ il 1969, e subito dopo, sempre con il Tsa e con Calenda, arrivano il “Coriolano” di Shakespeare e “Operetta” di Gombrowitz, di cui Proietti cura anche le musiche.

Sono spettacoli intensi, complessi, con una forza politica dirompente, come il dibattito che li incorniciò.

Contemporaneamente Proietti è Ademar in “Alleluja brava gente”, l’altra faccia della sua medaglia di attore, quella della commedia, che lo farà amare dal grande pubblico.

La versatilità del suo linguaggio artistico lo porta di nuovo all’Aquila, nel 1974, per un altro spettacolo che passerà alla storia: è coprotagonista nella “Cena delle Beffe” di Sam Benelli, diretta e interpretata da Carmelo Bene.

Nel 1976 Proietti sceglie il Teatro comunale dell’Aquila per la prima dello spettacolo che consacrò il suo talento: “A me gli occhi”, un concentrato di tecnica teatrale e di improvvisazione che ha lasciato, sparsi nel tempo, ricordi agrodolci di gag e battute.

Al Tsa tornerà dopo dieci anni, nella stagione teatrale 1986-87, uno dei cardini, come regista,  del progetto di teatro a puntate lanciato dall’allora direttore dello Stabile, Beppe Navello: i “Tre Moschettieri” con un giovanissimo Giuseppe Cederna nei panni di d’Artagnan, registi a rotazione e guest star vip. Un malore improvviso di Patrizia Punzo, interprete di Costanza Bonacieux, regala al pubblico aquilano un irripetibile e magnifico Proietti in crinolina e Timberland.

E’ una porta aperta: nel 1988 Gigi Proietti diventa il direttore artistico del Teatro Stabile. L’istituzione non riesce ad uscire dal suo momento difficile, da una pesante situazione di indebitamento: l’artista romano vara il “Progetto Amanti” e con “Tristi amori”, “Guardami negli occhi” e “Il sistema Ribadier” prova a traghettare il teatro in un porto sicuro.

Andò via, anche con qualche amarezza, prima che il mandato finisse. Tornò, ancora, nel 2000 quando il Tsa mutò pelle diventando Teatro Stabile d’Abruzzo, patrimonio regionale anche nel nome, con la sua storia di grandi sogni passati sempre in valigia.

Siamo arrivati ai ricordi recenti, quelli di “Falstaff e le allegre comari di Windsor” con un consenso popolare ormai indistruttibile.

Di Gigi Proietti in Abruzzo, e all’Aquila in particolare, non resta solo la grande impronta artistica, la sua magnifica ironia, l’istrionicità: c’è, più lievemente, un rincorrersi di aneddoti, di battute, di ristoranti amati e di serate passate in infinite partite a chiacchiere. Ora tutto questo è, delicatamente, storia.

 

Nella foto: Gigi Proietti con Carmelo Bene nella “Cena delle Beffe”

 

 

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