TERAMO, 13 luglio – Su Marco Calabretta, il  bimbo di 9 anni di Pineto stroncato da una fibrillazione ventricolare sul campo sportivo della cittadina costiera mentre stava giocando una partita di calcio, il defibrillatore sarebbe stato usato, ma il monitoraggio avrebbe escluso l’opportunità della scarica elettrica. Almeno secondo quanto avrebbe dichiarato questa mattina in aula, nella prima udienza del processo con rito abbreviato in cui è imputato per omicidio colposo Darush Barhi, il medico del 118 che soccorse il piccolo, un infermiere che si trovava sulla prima ambulanza giunta sul campo di calcio. Infermiere chiamato come testimone dall’imputato (che aveva chiesto ed ottenuto l’abbreviato condizionato proprio all’audizione del teste), e che avrebbe spiegato come nell’immedsia stato proprio il defibrillatore, una volta applicate le piastre, a non defibrillare non rilevando all’atto del monitoraggio le condizioni per farlo.

Un aspetto scriminante, visto che l’accusa nei confronti del medico del 118, arrivato con la seconda ambulanza, è proprio quella di non aver utilizzato il defibrillatore che pure era presente sul mezzo.

Al riguardo nei giorni scorsi lo zio di Marco Calabretta, che rappresenta la famiglia del bimbo, ha presentato una denuncia contro il consulente di parte del medico e contro gli autisti ed infermieri del 118 che intervennero sul campo di calcio, tra, i quali proprio il testimone ascoltato oggi, ipotizzando nei loro confronti l’accusa di  false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria (per gli autisti infermieri l’avvocato ipotizza anche di concorso in omicidio colposo).

Per quanto riguarda il rito abbreviato, dopo l’audizione dell’infermiere, l’udienza è stata aggiornata a novembre per la discussione.

La richiesta di ammissione al rito alternativo da parte del medico Darush Bari era arrivata dopo l’imputazione coatta disposta dal gip Giovanni De Rensis e firmata dal pm Stefano Giovagnoni.

Marco Calabretta, nove anni, di Pineto, era morto sul campo di calcio il 25 settembre 2015 per una fibrillazione ventricolare, provocata secondo l’autopsia da una malformazione congenita.

Una morte per la quale, nel corso delle indagini la Procura aveva iscritto nel registro degli indagati sia il professionista che aveva rilasciato il certificato di idoneità sportiva che il medico del 118 e per tutti e due aveva poi chiesto l’archiviazione.

Secondo la perizia disposta all’epoca dal Pm, infatti, la patologia di cui soffriva il bambino poteva essere diagnosticata, solo con un ecocardiogramma, esame non previsto in caso di rilascio di certificato di idoneità sportiva per attività non agonistica.

Da qui la richiesta di archiviazione per il medico che gli aveva rilasciato il certificato, che aveva regolarmente eseguito l’elettrocardiogramma previsto dalla normativa.

Per quanto riguarda invece il medico del 118, la Procura aveva inizialmente ipotizzato un’omissione per non aver utilizzato, al momento dei soccorsi, il defibrillatore presente sull’ambulanza. Successivamente per lo stesso medico era stata richiesta l’archiviazione, sempre sulla scorta della perizia rimessa dai consulenti della Procura.

Richiesta contro la quale la famiglia del bimbo aveva presentato opposizione all’archiviazione. Opposizione accolta dal gip che aveva disposto per l’uomo l’imputazione coatta.