Toto condannato a 4 mesi per omesso versamento di 20 milioni di Iva. L’imprenditore: “E’ ingiusto”
CHIETI, 7 giugno 2017 – Condannato a 4 mesi di reclusione Alfonso Toto, 40 anni, amministratore delegato della Toto Spa, per avere omesso di versare 20 milioni di euro di Iva nell’anno 2013.
La sentenza è stata emessa oggi pomeriggio dal giudice monocratico del Tribunale di Chieti, Valentina Ribaudo. Alfonso Toto è figlio di Carlo Toto, il fondatore della compagnia area Airone.
Il pubblico ministero, Giuseppe Falasca, aveva chiesto il minino nella pena e la concessione delle attenuanti generiche dal momento che Toto ha ottenuto dall’Agenzia delle Entrate la rateizzazione del debito in venti rate trimestrali. Un debito che, a causa delle sanzioni, è arrivato ad attestarsi sui 23 milioni di euro.
I difensori di Toto, gli avvocati Giuliano Milia e Augusto La Morgia, nel corso del loro intervento hanno evidenziato che la Toto Spa in quel periodo dovette fronteggiare un crisi di liquidità dovuta ai maggiori costi, per alcune decine di milioni di euro, che l’impresa fu costretta a sostenere mentre stava effettuando i lavori lungo l’autostrada Firenze-Bologna e che solo in seguito vennero riconosciuti da Autostrade per l’Italia.
I legali di Toto, inoltre, hanno affermato che la scelta dell’imprenditore, davanti alla crisi di liquidità, fu quella di destinare i soldi al pagamento degli stipendi e dei contributi ai suoi 700 dipendenti. La difesa ha poi sottolineato che la rateizzazione venne richiesta e concessa già prima che si consumasse il reato.
Alfonso Toto non ci sta e contesta la decisione del giudice:
“Chiaramente appelleremo questa sentenza, che ci appare ingiusta”.
Poi fornisce la sua ricostruzione della vicenda:
“Quella fatta nel 2014 è stata solo una scelta obbligata, per garantire gli stipendi e i contributi di chi lavora da anni con noi, come anche i subappaltatori e i fornitori. Una scelta che andava nella direzione di preservare il futuro dell’azienda”.
Infine l’imprenditore teatino illustra le sue obiezioni:
“Nel 2014 abbiamo chiesto il pagamento differito dell’Iva perché avevamo in atto un contenzioso. Eravamo, cioè, in questa situazione: avevamo investito facendo dei lavori importanti e non ci vedevamo riconosciuto il dovuto dal cliente. Nel 2014 l’azienda ha avuto un fatturato di circa 248 milioni, l’85% dei quali da appalti pubblici. Da qui la decisione di chiedere all’Agenzia per le Entrate una rateizzazione del debito Iva, aumentato degli interessi. Tutto come previsto dalle norme. Da allora stiamo onorando il nostro impegno, abbiamo già versato la metà del debito Iva, ma ciò non è valso a fermare la macchina giudiziaria, che si è avviata nel 2015, un anno dopo la nostra auto-dichiarazione dell’esistenza del debito”.