Omicidio Giammarino a Penne, ergastolo per Mirko Giancaterino
CHETI, 27 marzo – E’ con una condanna all’ergastolo per Mirko Giancaterino che la Corte d’Assise di Chieti (presieduta da Geremia Spiniello e con giudice a latere Isabella Maria Allieri) ha messo la parola fine, almeno in primo grado, alla vicenda giudiziaria che vedeva imputato il 38enne di Penne per l’omicidio dell’ex maresciallo dell’aereonautica Gabriele Giammarino, 80 anni, trovato morto il 13 settembre del 2015 nella sua abitazione di via Bernardo Castiglione a Penne. Secondo quanto stabilito all’epoca dall’autopsia, la vittima fu aggredita con diversi pugni e 26 coltellate.
A Giancaterino venivano contestati i reati di omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e di incendio doloso. Secondo l’accusa, infatti, dopo l’omicidio, avvenuto a c il giovane avrebbe anche appiccato un incendio all’interno dell’abitazione dove si era consumato il delitto. Il pubblico ministero Mirvana Di Serio, aveva chiesto l’ergastolo, mentre il difensore di Giancaterino, l’avvocato Melania Navelli, aveva chiesto l’assoluzione per non aver commesso il fatto. Giancaterino è stato anche condannato a risarcire le parti civili assistite dall’avvocato Federico Squartechia: 170.000 euro alla sorella della vittima, Pasqualina Giammarino, e 100.000 euro ciascuno ai figli di quest’ultima, Giancarlo e Daniela Di Teodoro..
In base a quanto evidenziato dall’accusa, si trattò di un omicidio con dolo d’impeto, in seguito al rifiuto della vittima di consegnare del denaro. Elementi che, come rilevato dal pm Di Serio nel corso della sua requisitoria, sarebbero compatibili con l’aggravante della crudeltà. Il danaro, sempre secondo l’accusa, con ogni probabilmente serviva a Giancaterino per acquistare dosi di stupefacente. Per Di Serio, Giancaterino fu “freddo, lucido e spietato” e ad inchiodarlo non sarebbero solo le immagini riprese da una telecamera di videosorveglianza che si trova lungo la strada in cui abitava la vittima, ma anche la testimonianza della badante che abitava al piano di sotto e le gocce di sangue rinvenute sulle scarpe e sui pantaloni della tuta che indossava quel giorno.
Per il difensore di Giancaterino, l’avvocato Melania Navelli, ci sono invece ”preconcetto e pregiudizio nelle indagini, chiuse in 48 ore e indirizzate solo su di lui perché pluripregiudicato“. Per il legale, “non si sa né quale sia il movente né quale arma sia stata usata, se un coltello o un pugnale. E non c’è la prova che Giancaterino abbia calpestato la scena del crimine“.