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Pennichella organizzata sul posto di lavoro, licenziato in Abruzzo un addetto di Autostrade

Pennichella organizzata sul posto di lavoro, licenziato in Abruzzo un addetto di Autostrade

L’AQUILA, 7 giugno 2017 – Una “pennichella organizzata” costa il licenziamento ad un addetto alla vigilanza della società Autostrade, che aveva il compito di vigilare il percorso tra Ancona e Roseto degli Abruzzi. L’uomo avrebbe dovuto svolgere il proprio compito insieme ad un collega, a bordo della stessa auto, e sarebbe dovuto intervenire, in caso di necessità, per rimuovere dalla strada eventuali residui generati da incidenti. La coppia, invece, aveva scelto di operare su due auto diverse, utilizzate per dormire un paio d’ore sulle auto di servizio, naturalmente senza avvisare la centrale operativa.

Scoperti e licenziati, i due addetti alla sicurezza sono stati giudicati separatamente. Nel caso in questione, il tribunale di Teramo aveva avallato il licenziamento del dipendente di Autostrade, mentre la Corte d’Appello dell’Aquila ne aveva decretato la riammissione in servizio. Oggi, però, la Cassazione ha scritto la parola fine sulla vicenda, licenziando il vigilante inadempiente e decretando la tolleranza zero nei confronti dei “furbetti del sonnellino”.

Secondo la Suprema Corte, infatti, l’ “addormentamento organizzato” durante il turno lavorativo presenta una “evidente contrarietà ai doveri fondamentali del lavoratore, rientranti nel cosiddetto minimo etico'” e viola i “principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto di lavoro” e per questo merita di essere punito con il licenziamento, soprattutto quando si presta un servizio di “essenziale rilevanza”.

A giudizio della Cassazione un tale comportamento non può essere “oblato da una semplice multa”, per la “delicatezza dei compiti che il lavoratore avrebbe dovuto svolgere” e per la “gravità della interruzione del servizio determinatasi a causa di un addormentamento, oltretutto neppure dovuto a causa improvvisa e imprevista, ma organizzato con l’altro lavoratore della squadra”.

I supremi giudici hanno così ripristinato il più severo verdetto di primo grado, condannando inoltre il dipendente licenziato a pagare tremila euro di spese legali.

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