Presunti abusi nella campagna referendaria 2016, archiviazione per D’Alfonso e Rapino
PESCARA, 13 febbraio – Si chiude con un nulla di fatto la vicenda riguardante i presunti abusi, compiuti dall’ex presidente della giunta regionale Luciano D’Alfonso e dall’ex segretario regionale del Pd Marco Rapino, in occasione della campagna referendaria in vista del voto del 4 dicembre 2016. Il gip del tribunale di Pescara, Antonella Di Carlo, ha accolto la richiesta di archiviazione presentata dal pm Salvatore Campochiaro. D’Alfonso e Rapino erano accusati di abuso d’ufficio e violazione della legge sui dati personali.
L’indagine era stata innescata da un esposto dell’attivista ambientalista Augusto De Sanctis, che contestava l’utilizzo dei suoi dati personali, avendo ricevuto sul suo cellulare personale due sms e una telefonata per invitarlo a partecipare ad una iniziativa di propaganda referendaria. Nel mirino dell’esposto anche una lettera prestampata con il simbolo della Regione Abruzzo, con la firma di D’Alfonso, a favore del quesito referendario.
Secondo il gip l’ipotesi relativa al trattamento illecito dei dati personali “difetta del tutto il profilo del ‘nocumento’ che, alla luce della formulazione vigente della norma nell’inciso ‘arrecare danno’, costituisce parte integrante dell’elemento oggettivo del reato”. Quanto all’ipotesi del reato di abuso di ufficio, “la sussistenza del reato è esclusa perchè la missiva a firma di D’Alfonso – scrive Di Carlo – è stata redatta nella sua veste di Presidente della Regione e non nello svolgimento delle funzioni proprie della carica, costituendo lo svolgimento delle funzioni il limite esterno della condotta di reato”.
In riferimento ai tre contatti telefonici per comunicare l’organizzazione di un evento politico, “sono stati ricevuti da De Sanctis che, come evincibile dall’articolazione e dalla datazione delle sue esperienze professionali e di impegno civile anche in ruoli apicali – rileva il gip – è soggetto conosciuto in seno alle compagini amministrative non solo locali e conoscibile dalle rappresentazioni politiche che di quelle compagini sono organiche”. L’oggetto e le modalità dei tre contatti telefonici, a giudizio del giudice, “non possono dare luogo al riscontro delle connotazioni oggettive della condotta di cui all’articolo 660 del codice penale, riassumibili nei concetti di apprensione comune, molestia, disturbo, petulanza, agire pressante, indiscreto e impertinente che interferisca sgradevolmente nella sfera della libertà e della quiete di altre persone”.