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Referendum, 10 ragioni per votare…

Referendum, 10 ragioni per votare…

PESCARA, 2 dicembre – A poche ore dal voto referendario sulla riforma costituzionale, molti cittadini sono ancora indecisi sulla preferenza da assegnare. ABR24NEWS ha rivolto dieci domande a due docenti universitari, attivi in altrettanti atenei abruzzesi e tra i massimi esperti in materia. L’auspicio è che il confronto tra punti di vista qualificati, e tra loro alternativi, possa contribuire ad agevolare la scelta degli ultimi indecisi: Giampiero Di Plinio, ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico all’Università d’Annunzio di Chieti-Pescara, è schierato a favore del Sì; Carlo Di Marco, docente di diritto costituzionale all’Università degli studi di Teramo, è in prima linea sul fronte del No.

1) Uno degli aspetti fondamentali della riforma riguarda l’obiettivo di rendere più agile e veloce il processo di formazione e approvazione delle leggi, in particolare attraverso il superamento del bicameralismo paritario. Questa riforma riesce a centrare l’obiettivo ?

DI PLINIO: “Sì, anche se non si tratta solo della velocità della legislazione, ma anche della sua qualità e della sua efficienza. Abbiamo davanti a noi una macchina con un motore nuovo e potente, che aumenta la stabilità delle istituzioni rappresentative e la funzionalità nella formazione del Governo, soprattutto perchè circoscrive il rapporto di fiducia del Governo alla sola Camera dei deputati. Questo è il vero punto centrale. Inoltre è vero che la riforma tocca 47 articoli, ma va accuratamente detto che di questi, tre sono di sistema (55, 57, 70), ma ben 33 sono modifiche meramente consequenziali, in cui cambiano solo poche parole (Camera invece di Camere, via le Province ecc.). Undici, infine, sono norme di manutenzione costituzionale imposte dalla Corte, o di svecchiamento. Una riforma davvero molto leggera,  ma altrettanto necessaria”.

DI MARCO: “L’obiettivo, ammesso che sia questo, non è raggiunto. Nella XVII legislatura l’80,4% delle leggi (180) sono state approvate con un solo passaggio fra Camera e Senato; il 17,4% (39) con tre passaggi; l’1,8% (4) con due passaggi in entrambe le Camere; lo 0,4% (1) con cinque passaggi fra Camera e Senato. È del tutto evidente che in Italia l’approvazione delle leggi non è intralciata dal bicameralismo paritario, poiché il fenomeno delle navette è del tutto irrilevante. Semmai il problema da risolvere per il parlamento italiano sarebbe quello di approvare meno leggi. In Italia si approvano troppe leggi e sono scritte male. In più, quando la maggioranza di Governo è interessata a un disegno di legge, mediante i sistemi della decretazione d’urgenza e quello della questione di fiducia, arriva all’approvazione delle leggi anche in pochi giorni. Infine, questa de-forma costituzionale non supererebbe il bicameralismo paritario, bensì lo renderebbe più complesso e farraginoso, aggiungendo altri procedimenti legislativi (circa 9) che al momento non esistono”.

2) I critici della riforma parlano di un rischio di deficit democratico, legato al combinato disposto tra riforma della Costituzione e legge elettorale. Esiste davvero questo rischio?

DI MARCO: “Si tenta di far passare l’idea che legge elettorale e riforma costituzionale vivano su pianeti differenti, invece sono state pensate entrambe per completarsi vicendevolmente. La legge elettorale, non a caso, non disciplina l’elezione del Senato come se la riforma costituzionale fosse già in vigore. In realtà, pur se vagamente nella riforma si accenna a ‘proporzionale’ e ‘volontà degli elettori’, il Senato sarà eletto secondo regole che non esistono. Una legge elettorale per l’elezione del Senato, insomma, dovrebbe essere ancora approvata e i principi costituzionali sarebbero vaghi e imprecisi. Il Senato sarà composto da sindaci e consiglieri regionali senza mandato elettorale dei cittadini e continuerà a fare leggi dello Stato, calpestando il più elementare principio di rappresentanza che sostanzia la sovranità del popolo. La Camera dei deputati, per effetto del premio di maggioranza, vedrà maggioritario un solo partito. Minoritario e di governo. Si delineerebbe così un pericoloso ritorno indietro di carattere autoritario, annullando la rappresentanza e imponendo un Parlamento monopartitico”.

DI PLINIO: ” Niente affatto. Al contrario la riforma aumenta la dose di sovranità popolare, democrazia rappresentativa, costituzionalismo e controlimiti. La fiducia da parte della sola Camera permette alla maggioranza che ha vinto le elezioni di governare stabilmente, attuando il Programma in base al quale gli elettori l’hanno votata. Fino ad oggi, maggioranze diverse tra Camera e Senato hanno obbligato a compromessi e inciuci, violando quel programma e schiacciando la sovranità popolare. Una democrazia più stabile e coesa, è anche più forte e capace di resistere a lobby e poteri forti. In più, nessuno degli attuali sistemi di freni e contrappesi viene toccato. Anzi, con la riforma i poteri di controllo aumentano. Aumenta il contropotere popolare, con gli strumenti referendari, aumentano i contropoteri strutturali, con l’incremento dei i quorum necessari per l’elezione degli organi di garanzia, e lo stesso nuovo Senato, avendo una derivazione di legittimazione politica differente dalla Camera (non la nazione ma le autonomie) diventa un ulteriore controlimite al potere della maggioranza e del Governo. Infine non se ne può più del teorema del ‘combinato disposto’. La riforma e il referendum non riguardano la legge elettorale, e per l’Italicum è già game over”.

3) Con la nuova definizione del Senato, l’immunità parlamentare si estenderebbe anche a presidenti di Regione e consiglieri regionali che andranno a sedere in Senato. Considerando che gli amministratori locali, a differenza degli attuali membri elettivi del Senato, esercitano una gestione diretta del danaro pubblico, e anche alla luce dei tanti scandali che hanno colpito di recente le Regioni, questo aspetto della riforma non rischia di creare qualche corto circuito?

DI PLINIO: “Nessun corto circuito, anzi sull’immunità mi viene da sorridere. Attualmente ne godono 945 politici. Con la riforma ne godranno 730 politici. La riforma diminuisce l’immunità, non l’aumenta. E forse è opportuno precisare che l’immunità dai processi non esiste più per nessuno dal 1993 e oggi significa solo autorizzazione per arresti preventivi e restrizioni della libertà di corrispondenza. Ma non sta scritto in nessun luogo che un pm non possa, senza alcun limite, perseguire un politico, e che un Tribunale non possa processarlo e condannarlo. Dopo di che, autorizzazione o no, se ne deve andare e possibilmente in galera. Si noti anche che oggi i sindaci e i consiglieri regionali spartiscono briciole. Non amministrano, perché la gestione di appalti e servizi è fatta dai tecnici, in ossequio al già vigente principio di separazione tra amministrazione e politica. Oggi, invece, 315 senatori ficcano le manine nel più potente serbatoio di rendita politica, la legge finanziaria. Con la riforma il Senato non avrà più competenze sulle finanziarie, il numero dei ‘political rentiers’ calerà di un terzo e lo spazio della corruzione sarà ridotto di altrettanto”.

DI MARCO: “I senatori saranno eletti nel seno dei consigli regionali che ad oggi racchiudono la parte più indagata della classe politica italiana. Si eleggeranno persone di fiducia di questa classe politica per fare leggi importanti come la revisione costituzionale e quelle relative all’organizzazione delle autonomie locali. La copertura immunitaria incoraggerà ancora di più il malaffare e la corruzione. Il corto circuito paventato è più che probabile. Forse è proprio questo l’obiettivo della riforma del Senato”.

4) Capitolo riduzione dei costi della politica: i senatori eletti passano da 315 a 100, non ci sarà il doppio stipendio senatore-consigliere, scompaiono le indennità, vengono definitivamente abolite Province e Cnel. Secondo la ragioneria dello Stato, solo tra Senato e Cnel, si risparmierebbero circa 70 milioni di euro. Non sono cifre stratosferiche, ma sono dei risparmi. Da questo punto di vista, lei vede il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?

DI MARCO: “Se la riduzione dei costi della politica fosse veramente l’obiettivo di questa riforma, si potrebbe tranquillamente evitare. Sarebbe bastato, infatti, approvare una legge ordinaria che dimezzasse le indennità dei parlamentari e rinunciare al programma di acquisto dell’alto numero di F35 che saranno acquistati entro il 2021, per risparmiare più del doppio dei miseri 70 milioni di cui si parla. Se proprio si volevano abbassare i costi con una riforma costituzionale, sarebbe stato sufficiente passare al monocameralismo e dimezzare il numero dei deputati. Proposte da tempo persino formalizzate, ma che sono state relegate nel dimenticatoio perché gli obiettivi sono altri”.

DI PLINIO: “Mezzo vuoto. E’ poca roba quella che cita. Ma la riforma aggiunge un’enorme botte di rovere, di ottimo Montepulciano. I veri risparmi sono infatti altri, come la già citata riduzione di un terzo dei ‘political rentiers’, l’eliminazione dei balzelli da pagare ai ‘vetopowers’ delle navette, le leggi più efficienti, il minore deficit, il minore debito, la minore tassazione, la minore corruzione. Miliardi, ripeto, non milioncini. C’è anche il resto, che non è poco, anche sul piano simbolico. Non capiterà più, infatti, che 315 tacchini si presenteranno con le loro zampe al cenone di Natale, sarà costituzionalizzata l’eliminazione degli emolumenti ai gruppi consiliari e l’abbassamento delle prebende dei consiglieri regionali al livello dei sindaci capoluogo. E non è di poco conto la prevista unificazione dei servizi amministrativi di Camera e Senato, con eliminazione delle duplicazioni e piano di riduzione del personale, senza turn over. Avete idea di quanto guadagnano i barbieri delle Camere?”

5) Altra questione di rilievo è legata al superamento dei conflitti di competenza tra Stato e Regioni. Da una parte si velocizza e si risolve un’ambiguità costosa, anche in termini di ricorsi, dall’altra una serie di competenze strategiche e fondamentali torna in capo allo Stato. Quali sono le sue valutazioni al riguardo?

DI PLINIO: “Come diceva Marx dei filosofi tedeschi, i costituzionalisti benaltristi sono privi di presupposti. Il presupposto è l’esistente e i rapporti Stato-Regioni oggi si fondano sul conflitto legale, mascherato da leale collaborazione, che alla fine – grazie alla Corte e alle sue millesettecento sentenze in materia – fa vincere quasi sempre lo Stato, ma dopo mille vie crucis e con spese folli. Inoltre si fondano su una rete di Conferenze, in cui il coordinamento avviene in modo asimmetrico, con dominio dello Stato, e con il quadro dei comandi in mano non tanto al ministro competente quanto alle burocrazie ministeriali. Il nuovo Senato darà una testa a Roma e, di pari dignità costituzionale rispetto al Governo, alla rete delle conferenze. Non sarà tanto rappresentanza politica quanto rappresentanza degli interessi e funzionerà: ho mille case study che da tempo girano in convegni e seminari. E l’eliminazione delle materie concorrenti taglierà la Corte costituzionale fuori dalla negoziazione, perché i rapporti strutturali tra territori e nazione non sono casi suoi ma della politica”.

DI MARCO: “Con questa riforma si perde una buona occasione per attuare il programma costituzionale della Repubblica delle autonomie e si punta al ritorno allo Stato centralista d’altri tempi. La cattiva ripartizione delle competenze Stato-Regioni, che ha scatenato una pletora di ricorsi alla Corte costituzionale, è dovuta solo alla fretta e alla confusione seminata dalla revisione del 2001. Sarebbe bastato chiarire il riparto di competenze nella legislazione concorrente sulla base delle tante pronunce della Corte, ma si è invece preferito abolire la legislazione concorrente confondendo l’acqua sporca con il bambino. Anche se varie materie sarebbero nella competenza legislativa delle regioni, peraltro, la clausola di supremazia bypassa totalmente l’autonomia legislativa delle regioni, che per volontà del Governo potrebbero essere private persino di ogni materia di legislazione, ri-centralizzandole nelle mani dello Stato. Questo esautorerebbe di fatto i principi fondamentali e intoccabili della Repubblica delle autonomie di cui all’art. 5 della Costituzione”.

6) C’è poi il discorso sugli strumenti referendari: vengono introdotti due nuovi tipi di referendum, propositivo e d’indirizzo. Le leggi d’iniziativa popolare, inoltre, dovranno essere discusse in tempi certi dalla Camera, anche se il numero delle firme da raccogliere passa da 50mila a 150mila. Cosa ne pensa ?

DI MARCO: “In realtà due nuovi tipi di referendum non vengono introdotti, bensì solo rinviati al futuro, incerto e immaginifico. Resta il referendum abrogativo, che richiede almeno 500 mila firme per poter essere indetto. Perché si abbassi il quorum, attualmente fisso sul 50% più 1 degli aventi diritto, bisogna raggiungere almeno 800 mila firme. Così si allontana lo strumento referendario abrogativo dalla portata dei cittadini, che sempre più difficilmente potranno utilizzare questo strumento di democrazia diretta. Quanto alle proposte di legge di iniziativa popolare, si triplica il numero minimo di firme e si finge di rendere obbligatorio il loro esame. Modalità e tempi, infatti, sono rinviati ai regolamenti parlamentari approvati da due camere che, come si sa, sono nelle mani dell’unico partito che, per effetto della legge elettorale, decide tutto alla Camera dei deputati. Infine, i regolamenti parlamentari potrebbero disciplinare la materia in maniera anche incostituzionale, visto che essi non sono sottoponibili al sindacato di costituzionalità della Corte”.

DI PLINIO: “Ci sono tre aspetti molto importanti, che nel complesso producono un aumento del tasso di democrazia diretta: da un lato vengono potenziate le leggi d’iniziativa popolare, che obbligano il parlamento a prenderle in esame e a votarle, a differenza di quanto avvenuto in passato, visto che su un migliaio di proposte finora ne sono state discusse pochissime e a mia memoria ne è stata approvata soltanto una, relativa all’istituzione del Parco dei Colli Euganei. Viene poi facilitato il referendum abrogativo e non è una cosa da poco, perchè se ci fosse stata questa riforma il referendum contro le trivelle sarebbe stato vinto. Infine c’è anche l’introduzione del referendum propositivo, che è una bomba nucleare, perchè consente al popolo di scrivere direttamente le sue leggi: in Val d’Aosta, ad esempio, già esiste e ha prodotto una legge molto importante in materia di rifiuti”.

7) Renzi dice spesso che questa riforma può essere anche imperfetta e migliorabile, ma intanto produce un cambiamento. I suoi avversari sostengono che il problema non è cambiare, ma cambiare in meglio. Chi ha ragione su questo piano ?

DI PLINIO: ” Il meglio, come è noto, è nemico del bene. Per me questa riforma è buona e viene da lontano. Non ha ragione Renzi, hanno ragione gli innumerevoli tentativi finora falliti e hanno ragione centinaia di costituzionalisti. Ha ragione la Commissione dei Saggi di Quagliariello, che l’ha praticamente scritta nel 2013. Ha ragione la Cgil, la cui segretaria nel 2014 inserì nella sua relazione una serie di proposte, di cui la riforma è praticamente una fotocopia di dettaglio. Salvo cambiare idea dopo, come molti altri del resto, per motivi che non discuto. Questa  riforma ha centinaia di padri e madri, Renzi l’ha proposta e il Parlamento l’ha approvata. Ma sarà fatta sua o sarà rifiutata dal popolo italiano. In entrambi i casi, però, si capisca bene che l’esito di un referendum costituzionale è un atto costituzionale sovrano. Una pietra tombale su ciò che si lascia, se vince il Sì. Una pietra tombale su ciò che essa contiene, se vince il No. E un No il 4 dicembre non sarebbe un gioco, perchè non si può bocciare la riforma e il giorno appresso rifarne un pezzetto, due o tutta. Si violerebbe la sovranità popolare e sarebbe un colpo di Stato”.

DI MARCO: “Non personalizzo e non ascolto quello che dice Tizio o Caio. Affermo che un cambiamento in sé non è necessariamente innovativo. Sono da accettare solo i cambiamenti che, anche se piccoli, vanno però nella giusta direzione, che per me altro non è che l’attuazione dei principi fondamentali della Costituzione. I cambiamenti che vanno nella direzione opposta, come quelli proposti da questa de-forma, anche se piccoli vanno respinti. Ma qui non ci sono cambiamenti piccoli, ve ne sono di grandi. Il Senato non eletto che fa leggi è una negazione della sovranità popolare, il ri-accentramento delle funzioni legislative nello Stato è una negazione dei principi di autonomia e del massimo decentramento possibile. Questi sono in effetti, insieme ad altri, atti di cambiamento della forma di Stato, non solo di Governo. Senza parlare della combinazione con la legge elettorale approvata contestualmente, che consegna la Camera dei deputati a un partito unico”.

8) La modifica della Costituzione è qualcosa che assume sicuramente un grande rilievo, ma oggettivamente – e lo confermano tutti i sondaggi – i cittadini italiani, specie in questa fase di crisi, non la considerano in cima alle loro priorità. Allo stesso tempo, però, c’è un grande fermento e un grande interesse attorno al voto del 4 dicembre. Alla luce di tutto questo, stiamo andando a votare su un quesito costituzionale o questa consultazione si è trasformata in un referendum su Renzi?

DI MARCO: “Non sono interessato alle persone né ai governi che si succedono. Certo è che taluni vorrebbero spostare l’attenzione su questi aspetti, ma le motivazioni del Coordinamento di Democrazia Costituzionale che ho contribuito a fondare a livello nazionale e regionale sono orientate a difendere il costituzionalismo e a rilanciare una politica costituzionale atta alla realizzazione dei suoi principi fondamentali. Le motivazioni di altre entità, che si orientano verso il No a questa riforma, potrebbero interessarmi, ma non sono necessariamente le mie”.

DI PLINIO: “E’ un dato estremamente positivo che oggi abbiamo 60 milioni di costituzionalisti. Finalmente abbiamo compreso che la Costituzione non è un pezzo di carta, ma è materia viva che regola i rapporti tra cittadini e istituzioni. Forse il popolo dei sondaggi non inquadra ancora questa realtà, che però è riscontrabile per le strade e sui social. Da questo punto di vista ritengo che comunque vada a finire sia già un successo. Quanto a Renzi, questa riforma vale per tutti e se nel 2013 fosse già stata in vigore, il giorno dopo le elezioni avremmo avuto un governo. Per questo ritengo che sia un’occasione da non perdere, al di là di ciò che si pensa della figura di Renzi”.

9) Molti osservatori mettono in relazione la Brexit, l’elezione di Trump, questo referendum e più in generale quel vento legato ad un cosiddetto populismo anti-establishment che soffia in Europa e nel mondo occidentale. Senza dimenticare che i mercati ci osservano con grande attenzione e che proprio l’altro giorno il Financial Times ha profilato il rischio che falliscano otto banche qualora vinca il No. Cosa rischia davvero l’Italia se la riforma dovesse essere bocciata?

DI PLINIO: “Sia Brexit che Trump sono la dimostrazione della vitalità della sovranità popolare, che non può essere mai messa in discussione. La questione vera, dal mio punto di vista, è che abbiamo un’occasione unica per mettere un motore nuovo e fiammante in una macchina dalla carrozzeria bellissima, e credo che non dovremmo perdere questa occasione. Su tutto il resto abbiamo la forza e le capacità per reagire, anche se probabilmente con un No sarebbe durissima”.

DI MARCO: “Le Cassandre internazionali e nazionali che predicono scenari apocalittici, se il popolo italiano dovesse esprimersi per il No, puntano al terrorismo mediatico per pilotare la volontà popolare verso il Sì. Se questa riforma dovesse essere respinta, invece, si verificherebbe semplicemente un atto costituzionale di cui tutti i partiti politici dovrebbero prendere atto. Il Governo dovrebbe semplicemente continuare a governare, dando atto che il popolo si sarà espresso contro la sua de-forma. Un atto costituzionale che, ove i partiti di governo ne prendessero atto, indurrebbe finalmente la classe politica a un forte ripensamento di sé stessa, inducendola a un reale rinnovamento, perché la distanza fra politica e società civile possa finalmente cominciare ad accorciarsi”.

10) Per concludere, domanda a risposta secca: qualora vincesse il No, lei ritiene che Renzi si farà da parte o pensa che il presidente del Consiglio sia nelle condizioni di proseguire nella sua azione di governo ?

DI MARCO: “Non so cosa farà il presidente del Consiglio in caso di vittoria del No. Come detto sopra, tuttavia, credo che tutti i partiti politici, quelli di governo e quelli che aspirano al Governo, dovrebbero finalmente, per una volta, inchinarsi davanti al sovrano che dice No e aprire finalmente il libro del rinnovamento dei partiti e della politica perché questa torni nelle mani dei cittadini. Nessuno obbligherebbe questo Governo a dimettersi. Non finirebbe il mondo, semplicemente il sovrano si sarebbe pronunciato contro una riforma sbagliata”.

DI PLINIO: “Il quadro politico, qualora vincesse il No, diventerebbe molto complesso e preoccupante. Sostanzialmente avremmo una continuazione di una coalizione innaturale che comprende destra e sinistra. Inoltre Grillo non sarebbe nelle condizioni di governare da solo. Alla luce di tutto questo, credo che Renzi non si farà da parte, poiché non ci sono le condizioni politiche che lo consentono e il primo a tirarlo per la giacchetta sarà proprio Berlusconi, che con questo referendum ha l’ultima occasione per rientrare in gioco. Al di là di tutto, però, abbiamo una straordinaria occasione per ammodernare il Paese, dunque cosa ce ne frega di Renzi ?”

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