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Un abruzzese al processo di Norimberga, la storia di Arcangelo D’Amore

Un abruzzese al processo di Norimberga, la storia di Arcangelo D’Amore

L’AQUILA, 5 novembre – C’era anche un esperto di origini abruzzesi nella commissione medica che prese parte al processo di Norimberga, il procedimento giudiziario a carico delle alte gerarchie naziste, svoltosi nella città tedesca tra il 20 novembre del 1945 e il primo ottobre del 1946. Quell’esperto era uno psichiatra e si chiamava Arcangelo D’Amore, nato a Youngstown, in Ohio, il 12 agosto del 1920. I suoi genitori. Domenico e Maria, erano entrambi di Introdacqua, in provincia dell’Aquila. Una piccola storia familiare che si fonde con uno snodo fondamentale della grande storia contemporanea. A rivelarla è Geremia Mancini, sindacalista di lungo corso e presidente onorario dell’associazione “Ambasciatori della fame”.

Il padre di Arcangelo D’Amore arrivò una prima volta negli Stati Uniti nel 1991, quando aveva 20 anni, navigando sulla “Furst Bismarck”. Papà Domenico fece i lavori più disparati e più duri, tornò diverse volte in Italia, ma solo nel 1919 fu nelle condizioni economiche di ricongiungersi in America alla moglie e ai due figli. La famiglia si stabilì a Youngstown, dove nacque il terzo figlio Arcangelo: i tre fratelli dimostrarono una straordinaria propensione allo studio, laureandosi e diventando tutti e tre medici affermati.

Arcangelo si laureò giovanissimo in medicina, alla Ohio State University e successivamente conseguì ulteriori lauree di specializzazione alla Washington School of Psychiatry e al Washington Psychoanalytic Institute. Già nei primi anni Quaranta il giovane D’Amore era ritenuto una promessa della psichiatria e nel 1946, in forza alla Medical Corps – United States Army, fu chiamato a prendere parte, in qualità di psichiatra, alla Commissione medica del secondo Processo di Norimberga, quello che vide salire sul banco degli imputati medici, psichiatri e personale sanitario legati al nazismo.

In questa veste ebbe accesso, più o meno liberamente,  alle carceri dove erano rinchiusi gli imputati. Gli psichiatri americani, e naturalmente il giovane D’Amore,  giocarono un ruolo fondamentale. Seppero, dinanzi a qualsiasi drammatica rivelazione, mantenere il massimo distacco, favorendo così ulteriori ammissioni di colpevolezza e responsabilità politiche proprie e altrui. DAmore morì a Rockville, per un attacco cardiaco, il 27 gennaio del 1986.

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