Elezioni, D’Alfonso porta il Pd ai minimi storici. Centrosinistra mai così in basso e il M5s ringrazia

PESCARA, 5 marzo – Fare peggio di Renzi era difficile, ma lui ci è riuscito. Il grande sconfitto di queste elezioni politiche, in chiave abruzzese, è Luciano D’Alfonso, che stacca il biglietto per uno scranno in Senato, ma conduce il suo partito ad una sconfitta di proporzioni storiche. Mai la principale forza del centrosinistra aveva ottenuto numeri così bassi in Abruzzo. Neanche nel lontano 1992, quando da queste parti il Pds di Occhetto, alla Camera, si fermò ad un modestissimo 17,4%. Stesso risultato centrato dai Ds nel 2001, sotto la guida di Veltroni. Mai, però, si era scesi ai livelli attuali, con il Pd che in Abruzzo raccoglie appena il 14%, ovvero quasi 5 punti in meno della media nazionale. Se per il partito di Renzi si tratta di una sonora bocciatura, per il Pd abruzzese si può parlare di un autentico disastro. Altro che la “Regione al Governo” profetizzata da D’Alfonso !…

Il Pd in Abruzzo perde quasi 10 punti rispetto alle politiche del 2013 e più di 11 punti rispetto alle regionali del 2015. Con il rinnovo del Consiglio regionale ormai alle porte, è chiaro che queste elezioni rappresentano un avviso di sfratto per il centrosinistra abruzzese. Nel naufragio del Pd dalfonsiano, infatti, c’è molto più dell’atto di insubordinazione degli elettori rispetto agli inciuci, alle leggi elettorali costruite per impedire ai vincitori di governare o all’azione di esecutivi privi di ogni legittimazione popolare. C’è molto di più della crisi di rigetto nei confronti di una classe dirigente del centrosinistra che da tempo, ormai, appare autoreferenziale e totalmente priva di quella necessaria “connessione sentimentale” con quello che un tempo era il suo popolo: coloro che sono rimasti indietro, i disoccupati e i precari, la gente che non ce la fa ad arrivare alla fine del mese.

La debacle del Pd abruzzese è tutto questo, ma è anche molto altro. E’ soprattutto la fine del dalfonsismo, una categoria della politica che va oltre Luciano D’Alfonso, che riannoda i fili con i “tempi d’oro” del clientelismo gaspariano e che si traduce in una gestione personalistica e autoritaria di ogni minimo spazio di potere. L’ormai ex governatore abruzzese, anche nel corso dell’ultima campagna elettorale, ha continuato a dispensare sorrisi e ottimismo, fregandosi le mani in vista di un posto al sole in quello che sarebbe stato il Governo dei suoi sogni: quel “renzusconi” che gli elettori abruzzesi hanno respinto con un moto di sdegno e disgusto. Il clientelismo gaspariano, d’altronde, si fondava su risorse da elargire, infrastrutture da realizzare e posti di lavoro da distribuire. Oggi che il bengodi non c’è più, D’Alfonso ha commesso l’imperdonabile errore di pensare che per vincere sarebbe bastato continuare a dispensare nomine ai soliti noti, promettere opere mirabolanti delle quali non c’è traccia e proiettare la narrazione di una regione in piena ascesa. Una narrazione che, purtroppo, non trova alcun riscontro nella realtà, essendo l’Abruzzo agli ultimi posti dei principali indicatori economici e occupazionali.

D’Alfonso, come il suo omologo nazionale Renzi, ha continuato a credere di essere più bravo dei suoi avversari e più furbo degli stessi elettori. In questi anni è stato contemporaneamente presidente della Regione, sindaco di Pescara e segretario di partito. Mentre Alessandrini e Rapino scaldavano la sedia, lui faceva le nomine, organizzava i rimpasti, riempiva le liste. Liste come quelle delle ultime politiche, con figure al limite della provocazione per qualsiasi elettore di centrosinistra, tra sbiaditi ciambellani di partito e ossequiosi collaboratori di una vita, alcuni dei quali protagonisti di incredibili gaffe al limite del grottesco.

Presunzione, ego smisurato e senso di autosufficienza, nel caso di D’Alfonso hanno trovato terreno fertile nella totale assenza di un’opposizione interna minimamente credibile. D’altronde che credibilità può avere chi alza appena un po’ la voce soltanto perchè escluso da una lista o perchè in cerca di incarichi e poltrone? Se il Pd volesse davvero ricostruire se stesso, dovrebbe auto-rottamarsi, fare tabula rasa della sua classe dirigente locale e lasciare spazio a volti nuovi. Naturalmente, per ovvie ragioni, non succederà. Molto più facile invece che – come spesso accade – tutti coloro che in questi anni hanno accettato di sedersi al tavolo imbandito dal governatore, inizino ad affermare di non essere mai stati a pranzo con lui. Come fino a ieri, nelle sezioni del Pd, tutti erano renziani e da oggi non lo saranno più, in Abruzzo tutti erano dalfonsiani, ma da oggi faranno finta di non esserlo mai stati.

I voti in uscita dal Pd non sono finiti ad altre formazioni di sinistra (2,5% Liberi e Uguali e 1,3% Potere al Popolo), un po’ perchè a guidarle sono sempre le stesse facce, compromesse con i governi del passato e un po’ perchè ha prevalso la logica del voto utile. Voto utile che, per chi non appoggerebbe mai Salvini o Berlusconi, non poteva che essere un voto al Movimento 5 Stelle, che infatti in Abruzzo ha fatto il pieno, sfiorando il 39% e accrescendo i propri consensi, rispetto al 2013, di oltre 10 punti percentuali. Esattamente gli stessi punti in uscita dal Pd. Grazie a questi risultati, nella regione il M5s detiene il primato dei consensi non solo tra i singoli partiti, ma anche rispetto alla coalizione di centrodestra e a quella di centrosinistra. Lecito, a questo punto, aspirare al governo della Regione.

Guardando nel campo del centrodestra, desta impressione il boom della Lega, che in Abruzzo, nel 2013, raccolse appena lo 0,2%, mentre oggi si attesta su valori superiori al 14%. Forza Italia, con percentuali vicine al 15%, mantiene la leadership regionale del centrodestra, ma perde quasi 9 punti rispetto alle politiche del 2013. Fratelli d’Italia, nonostante l’effetto Biondi a L’Aquila e il grande impegno di Testa a Pescara, guadagna appena un punto percentuale rispetto al 2013: 4,8%.

In Abruzzo, insomma, è arrivata la bufera. Occorre attendere che torni un po’ di sereno per capire come, da cosa e con chi ripartiranno i partiti che sono stati travolti. Nel frattempo per il M5s, ma anche per la Lega, splende un sole caldo e avvolgente.

 

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