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Pineto, metanodotto esploso: al via l’udienza preliminare

Pineto, metanodotto esploso: al via l’udienza preliminare

TERAMO, 20 settembre – In aula, nel collegio difensivo, c’era anche l’ex ministro della giustizia Paola Severino. Un collegio difensivo che da solo dà il senso dell’importanza di un procedimento che vede sul banco degli imputati 21 tra responsabili tecnici ed amministrativi di Snam Rete Gas. Il procedimento è quello relativo all’esplosione di un tratto del metanodotto Ravenna-Chieti, avvenuta a Mutignano di Pineto nel marzo del 2015, per il quale questa mattina si è aperta, al Tribunale di Teramo, l’udienza preliminare. Udienza nella quale sono state stralciate  tre posizioni per difetti di notifica, sono stati ammessi Wwf, Legambiente (rappresentate dall’avvocato Tommaso Navarra) e Comune di Pineto (rappresentato dall’avvocato Luigi Guerrieri)  come parti civili, oltre a tre privati cittadini che si sono costituiti per le lesioni riportate nell’esplosione,  e disposta la citazione del responsabile civile di Snam Rete Gas. 

L’udienza, che si è svolta davanti al giudice Giovanni De Rensis, è stata poi aggiornata al 31 gennaio per decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio per  disastro colposo firmata dalla Procura di Teramo per i dipendenti di Snam Rete Gas finiti nell’inchiesta. Dipendenti che sotto vari ruoli e profili avevano competenze sul distretto sud orientale (quello in cui rientra anche l’area di Mutignano). Solo per 18 di loro si deciderà nell’udienza di gennaio; per le tre posizioni stralciate sarà fissata una nuova udienza preliminare.

Sotto accusa, presunte negligenze dei 21 dipendenti di Snam Rete Gas, emerse nel corso di un’indagine che si è concentrata sulla documentazione amministrativa e tecnica relativa alla progettazione, posa in opera, manutenzione e monitoraggio del tratto di metanodotto esploso, della sovrastante rete elettrica e delle abitazioni interessate dall’evento, con i relativi accertamenti tecnici (sopralluoghi, indagini geotecniche e sui materiali) affidate ad un collegio di esperti.

Accertamenti volti a verificare se l’esplosione fosse stata causata e dalla frana che si era registrata il giorno dell’esplosione (e  che si era verificata dopo due mesi di costanti piogge in un’area classificata a moderato rischio idrogeologico) o se ci fossero state anche condotte negligenti ed imperizia da parte delle varie società interessate.

Negligenze che la Procura avrebbe ravvisato proprio a carico di 21 responsabili tecnici ed amministrativi di Snam Rete Gas e relative in particolare alle modalità con cui nel 2010 furono realizzati alcuni lavori volti ad eliminare lo stato di tensione della condotta già emerso negli anni precedenti.

Secondo la Procura, infatti, le costanti attività di monitoraggio svolte dalla società sulle tubature avrebbero messo in luce già nel 2008 come la condotta, nel tratto successivamente esploso, si fosse alzata di circa 26 centimetri rispetto al 2001, evidenziando dunque uno  stato di tensione del tubo legato ai movimenti del terreno.

Una situazione in cui in realtà l’azienda, correttamente, avrebbe predisposto un relativo piano di interventi volto a sgravare tutto quello stato di tensione dalla tubatura, interventi che però, all’atto della realizzazione nell’estate del 2010, sarebbero stati effettuati in maniera difforme a quanto preventivato.

Sotto accusa, in particolare, la mancata realizzazione di un sistema di drenaggio dell’acqua, giustificata con il fatto che all’atto degli scavi, nel mese di agosto, non fosse stata rilevata la presenza di acqua.

Ma non solo. Perché, secondo quanto emerso nel corso delle indagini, nonostante già nel 2008 fossero state evidenziate due deformazioni della condotta, una in corrispondenza del tratto esploso e l’altra in corrispondenza del tratto dove si verificò la frana del 6 marzo, le corde estensimetriche che avrebbero dovuto consentire un attento monitoraggio della situazione rispetto ai movimenti del terreno, sarebbero state posizionate in maniera errata, così come secondo i consulenti della Procura sarebbe stata valutata in maniera sbagliata la natura della deformazione scoperta lungo il tratto interessato.

Infine, secondo l’accusa, sarebbe mancata anche la predisposizione, da parte dell’azienda, di ulteriori misure atte a controllare i movimenti del terreno come l’installazione dei piezometri.

Aspetti che, in occasione della frana di marzo 2015, avrebbero portato all’eplosione del tratto interessato.

“La contestazione di disastro ambientale rende bene la gravità del fatto e l’incidenza negativa sul territorio delle terre del Cerrano da sempre oggetto di attenzione di tutela ad opera del Wwf e di Legambiente che si sono quindi costituite parte civile con ammissione delle stesse già disposta – dichiara l’avvocato Tommaso Navarra – Seguiremo il processo con spirito propositivo nel più ampio quadro di attenzione per la politica energetica regionale e nazionale, anche rispetto alla tematica della conduzione dell’energia”.

 

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