Per vendere casa scoppia la moda degli Open House, l’esperto va in controdentenza: “È sbagliato”

PESCARA, 5 agosto – In un momento in cui il mercato immobiliare gode di una fase favorevole – tanta domanda e poca offerta valida – molte agenzie si sono buttate a capofitto nella moda dell’Open House-show e nella comunicazione da record di vendita (“+10% sopra il valore! In 1 giorno di Open House!”). Ma in tutto questo entusiasmo, chi ricorda che il mediatore dovrebbe per legge essere equidistante tra venditore e acquirente? E soprattutto: chi si preoccupa davvero dell’impatto etico e comunicativo di queste pratiche sul lungo periodo?”. Ne parliamo con Alessio Sarra, agente immobiliare con oltre 20 anni di attività con la Sarra Servizi Immobiliari, riferimento per chi cerca professionalità e trasparenza nel mercato residenziale abruzzese.
Conosciuto per la sua comunicazione diretta e innovativa, il Corriere della Sera lo ha definito “un vulcanico imprenditore immobiliare”, mentre La Repubblica ha seguito diverse sue iniziative di marketing territoriale. Le sue campagne hanno superato i confini regionali e nazionali, approdando su Striscia la Notizia Mediaset, Rai, Sky, IlSole24ore Ansa e Radio nazionali. Insomma, una delle voci più autorevoli del settore, sicuramente dal punto di vista della reputation in Abruzzo.
Sarra spiega di potersi permettere di “non seguire le mode, ma di prendere le distanze, quando queste rischiano di diventare dannose, non solo per l’etica professionale, ma per l’intero sistema”.
Sarra, di recente ha fatto discutere un suo articolo sull’Open House come possibile strumento di pressione, anziché di trasparenza. Da cosa nasce questa riflessione?
“Nasce da ciò che vedo ogni giorno nel mio lavoro. Si confonde la consulenza con la strategia: un piano per mettere pressione, generare urgenza e chiudere in fretta, anche a scapito della trasparenza. Ho assistito a situazioni in cui l’Open House non serve tanto a facilitare la vendita, ma a creare una sensazione di urgenza che spinge le persone a decidere senza la necessaria serenità. Un buon consulente immobiliare deve accompagnare, non forzare. Vendere casa è un momento importante, spesso delicato: il mio approccio è su misura, come un abito cucito sulla persona. Non si tratta di ‘convincere’, ma di ascoltare e valorizzare. Ricordate i vecchi teleimbonitori in TV che ti urlavano di chiamare subito per non perdere l’occasione? Oggi, in certe situazioni immobiliari, la scena è più elegante ma la logica è la stessa. Quando l’Open House viene usato per creare un clima da ‘asta emotiva’, il rischio è spingere le persone a decidere di pancia, senza riflettere davvero. Una casa non è un set di coltelli in offerta: è un progetto di vita. Trasformare un momento così importante in una corsa contro il tempo è tutto fuorché professionalità. Non è una consulenza, è una televendita con le chiavi di casa”.
Spesso si dice che l’Open House sia una pratica consolidata all’estero, soprattutto negli Stati Uniti. Non potrebbe essere semplicemente un modello da importare anche in Italia?
“In molti giustificano l’Open House dicendo che è una pratica americana, ma il sistema statunitense è molto diverso dal nostro. Negli USA l’agente rappresenta quasi sempre una sola parte, di solito il venditore, e quindi spinge per ottenere il massimo nel minor tempo possibile.
In Italia, invece, il mediatore deve essere super partes. È pagato da entrambe le parti e la normativa impone trasparenza ed equidistanza. Un Open House condotto con logiche da ‘pressing’ rischia di compromettere questa imparzialità: in quei momenti il mediatore non media più, ma porta avanti una strategia che risponde agli interessi di una sola parte o dell’agenzia stessa. Importiamo un format da un altro sistema senza adattarlo alla nostra realtà giuridica e culturale, perdendo il senso della mediazione”.
E se poi l’Open House non porta alla vendita? Cosa succede in quei casi?
“Accade che la casa, dopo un’esposizione iniziale molto alta, resti sul mercato. Gli acquirenti iniziano a farsi domande, l’immobile perde appeal e diventa più difficile da vendere. È un effetto boomerang di cui raramente si parla al proprietario. In molti casi, l’Open House serve più a pubblicizzare l’agenzia che a vendere l’immobile. E se l’operazione non funziona, il danno ricade sull’immobile, non su chi ha gestito l’evento”.
Aprire la propria casa a uno o più sconosciuti in contemporanea le sembra davvero il miglior modo per venderla?
“Molti venditori credono che l’Open House sia efficace, ma spesso non si chiedono chi stanno facendo entrare. Spesso non ci sono controlli né selezione: si apre la porta a chiunque, anche a curiosi o a chi non può permettersi l’acquisto. Quando più persone visitano casa insieme, le percezioni si influenzano a vicenda. Un dettaglio trascurabile può diventare, di colpo, un problema per tutti. Questo può far perdere valore all’immobile e pesare sulle eventuali offerte. In Italia, dietro molti Open House c’è l’obiettivo di fare pubblicità all’agenzia e raccogliere contatti. Tutto legittimo, ma è davvero la strategia migliore per chi vende? Spesso chi propone l’Open House accelera il proprio lavoro, non il risultato del venditore. Un buon affare non ha bisogno di fretta: serve tempo, attenzione e visite mirate. L’acquisto di una casa è un momento personale, da vivere con calma e senza pressioni di gruppo”.
In definitiva, qual è il vero motivo per cui molte agenzie oggi spingono tanto sull’Open House?
“L’Open House, spesso, serve a concentrare in un paio di giornate 20 o 30 visite che normalmente richiederebbero settimane di appuntamenti individuali. Ma con le provvigioni che oggi vengono richieste, è corretto sacrificare così qualità e attenzione? Un venditore affida al mediatore un bene che vale centinaia di migliaia di euro, un pezzo importante della sua vita. Merita davvero una strategia impersonale e rapida? Io credo di no. Per questo promuovo il Closed House: mi chiudo in casa con l’acquirente, si parla, si ascolta, si capisce. Nessuna pressione, nessuna corsa contro il tempo. Una vendita può avvenire anche in 24 ore, certo, ma chi compra non deve sentirsi dentro una puntata di televendita. Deve vivere un’esperienza chiara, rispettosa, trasparente. Questo è quello che intendo per consulenza e rispetto del valore – economico e umano – di una casa”.
Sarra, con il suo approccio sartoriale e diretto, lo ricorda con chiarezza: “Non basta vendere, bisogna saperlo fare bene. E farlo bene, oggi, significa anche avere il coraggio di non seguire le mode quando queste vanno in direzione contraria alla qualità del servizio”.








