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Teramo, presunta truffa con le azioni Tercas: in aula Sora e Pilla

Teramo, presunta truffa con le azioni Tercas: in aula Sora e Pilla

TERAMO 16 ottobre – Nel 2011 Banca Tercas aveva la necessità di scaricare tutta una serie di azioni proprie, che avrebbero impattato in maniera significativa sul patrimonio di vigilanza. Ed è in questo contesto che l’istituto di credito, ripetendo un’operazione già messa in atto a fine 2010 ed andata a buon fine, avrebbe lanciato la campagna di vendita azionaria che ha poi portato davanti ai giudici, con l’accusa di truffa, 29 persone a partire dall’ex dg Antonio Di Matteo. Perché secondo i risparmiatori quelle azioni, che formalmente erano state effettivamente vendute come azioni a fermo, sarebbero state prospettate ai clienti come  cosiddetti ‘pronti contro termine’, investimenti ad un anno con un rendimento garantito.

A delineare lo scenario in cui si è inserita l’indagine della Procura sono stati, nell’udienza odierna, i primi testi citati dall’accusa tra i quali l’ex dg Dario Pilla, succeduto a Di Matteo, e l’ex commissario Riccardo Sora che hanno ripercorso tutte le tappe della vicenda.

Ed è proprio dalle loro testimonianze che emerge un istituto di credito in cui all’epoca la governance era di fatto in mano alla direzione generale e in cui c’era l’esigenza di liberarsi di tutta una serie di azioni.

“Mi sono insediato come direttore generale nel febbraio del 2012 – ha detto Pilla – e ricordo che quando vidi per la prima volta l’organigramma lo definii come un ottovolante. Nel senso che al di là di ruoli e funzioni c’era una governance baricentrica, con al centro dell’ottovolante la direzione generale. Buona parte delle operazioni più importanti passavano dal centro,ed una delle prime cose che feci fu proprio rivedere l’organigramma e le modalità di controllo. Ricordo che non esisteva di fatto una gestione dei crediti problematici” .

Pilla ha ricordato poi come a marzo 2012, dopo aver ricevuto una mail dal vice direttore in cui si parlava di possibili criticità si alcune operazioni di vendita di azioni, avesse dato avvio ad un indagine interna che si è conclusa in concomitanza del commissariamento, con la relativa relazione rimessa al commissario.

“E’ emerso che l’operazione in oggetto poteva essere definita come un pronto contro termine mancato – ha detto Pilla – Se lo faccio con obbligazioni o azioni queste restano nel mio bilancio. Di fatto la banca aveva problemi a mantenere nel proprio bilancio uno stock di azioni, che impattavano sul patrimonio di vigilanza, e che dovevano essere collocate presso terzi”.

In altri termini, dunque, da quanto emerso dall’indagine interna, nel 2011 la banca doveva liberarsi di tutta una serie di azioni e non poteva certo farlo con un’operazione di pronto contro termine. Ed effettivamente, sui contratti firmati dai clienti, l’operazione sarebbe risultata formalmente come vendita di azioni. Con la promessa di riacquisto, con un 3 per cento di interesse, che di fatto sarebbe stata fatta  a voce. Tranne in un caso, in cui il cliente interessato avrebbe esibito anche un secondo documento firmato dalla filiale con l’impegno a riacquistare le azioni a e pagare gli interessi. Tanto da essere stato rimborsato.

“Mi è capitato anche di parlare con  clienti che rappresentavano il proprio disagio, sostenendo in qualche modo di essere stati raggirati” ha aggiunto Pilla, che ha sottolineato come un’operazione di quel genere non poteva certamente essere pensata dai direttori di filiale ma doveva avere “ragionevolmente una regia centralizzata”.

“Da quanto riferito, da parte della direzione c’erano state forti sollecitazioni sulle filiali per vendere queste azioni” ha aggiunto ancora Pilla, che ha sottolineato come nel corso dell’indagine fossero emerse anche delle anomalie rispetto ai profili di rischio di alcuni clienti. Clienti che proprio in occasione dell’acquisto di quelle azioni sarebbero stati riprofilati, in alcuni casi anche più volte.

Ma non solo. Perché Pilla ha spiegato come sia emerso che un’analoga operazione era stata condotta dalla banca già a fine 2010. Operazione che era andata a buon fine. Non così per l’operazione della primavera estate del 2011, in quanto subito dopo il commissariamento, a maggio 2012, Sora come prima azione aveva sospeso il riacquisto delle azioni.

Ad entrare ancora più nello specifico proprio il commissario Sora, che in premessa ha spiegato come il  fondo di acquisto di azioni proprie sua quello più sensibile proprio perché impatta direttamente sul patrimonio di vigilanza.

“Quello che è emerso nel corso dei controllo è che quella di giugno 2011 era la seconda operazione del genere messa in atto dalla Tercas – La prima era stata portata avanti tra novembre e e dicembre 2010.  La Banca aveva infatti acquistato in tre tranche 700mila azioni da un cliente particolarmente esposto con l’istituto di credito, l’imprenditore Di Stefano. Azioni che sono state date a 60 clienti di 16 filiali. Così a fine 2010 nel fondo azioni proprie della banca residuavano pochissime azioni. Ma dicembre del 2010 è importante anche per un’altra questione, perché la banca era in attesa dell’autorizzazione da parte di Bankitalia all’acquisto di Caripe, che arriva a fine dicembre”.

Si arriva così, come spiegato da Sora,  al 19 maggio del 2011, quando i 60 clienti che avevano acquistato le azioni le rivendono alla banca in unica soluzione, con l’autorizzazione del vicedirettore generale.

“Il 26  maggio del 2011 la banca compra del medesimo cliente altre 900mila azione, con un’operazione disposta direttamente da direttore generale  – ha continuato Sora – con il fondo acquisto azioni proprie che a quel punto ha una consistenza di circa 2 milioni di azioni. Successivamente queste azioni vengono cedute, per un controvalore di 17 milioni, a 75 clienti di 32 filiali, di cui 15 già presenti nella precedente operazione”.

Non essendo un’operazione che poteva essere definita come pronto contro termine, ai clienti secondo quanto denunciato successivamente sarebbe stato prospettato l’impegno verbale al riacquisto delle azioni con un tasso di interesse al 3 per cento.

“A fronte della relazione rimessa da Pilla ho atteso ulteriori approfondimenti – ha continuato Sora – Dal 3 luglio 2012 abbiamo iniziato a ricevere reclami da parte della clientela, con la banca che come prima risposta ha detto che l’operazione si configurava come un acquisto a fermo di azioni. E che se fosse stato confermato dalla documentazione che si trattava al contrario di pronti contro termine ne avrebbe tenuto conto”.

Documentazione fornita solo da un cliente, che aveva acquistato azioni per 120mila euro e che aveva esibito un allegato al contratto sottoscritto dalla filiale con l’impegno a restituire a distanza di un anno la somma con l’intesse al 3 per cento.

“Dopo aver fatto le segnalazioni alla Guardia di Finanza, alla Consob e alla Procura ho fermato l’attività, anche per non interferire con quella della magistratura” ha spiegato Sora,.

Che ha aggiunto come a settembre del 2012, a fronte di circa una cinquantina di reclami e delle prime citazioni, aveva ritenuto approntare un fondo di accantonamento dell’intero importo delle azioni vendute. Fondo che non è stato toccato, in quanto non sono state effettuate transazioni. E questo a fronte di un parere legale che conferma come formalmente il prodotto venduto fosse stato venduto come azioni.

Anche Sora rispondendo alle domande del pm, il sostituto Enrica Medori, ha sottolineato come in occasione della vendita molti clienti siano stati “riprofilati”:

“Nell’operazione dle 2011 su 74 clienti 42 sono stati riprofilati. In alcuni casi anche 4-5 volte per rendere coerente il profilo di rischio del cliente con quello assegnato dalla banca alle sue azioni”.

Nel corso dell’udienza sono stati ascoltati anche un ufficiale di pg della Finanza, che aveva svolto all’epoca le indagini, un cliente che aveva acquistato le azioni incriminate e un dipendente di Banca Tercas che all’epoca rivestiva il ruolo di responsabile della filiale di Teramo stazione e che ha dichiarato di non aver proposto quell’investimento ai suoi clienti in quanto lo riteneva rischioso e non adatto alla sua clientela.

“Ricordo che si doveva fare questa operazione – ha detto – ma io non me la sono sentita di proporre quel tipo di investimento alla clientela della filiale, che era composta per lo più da operai e pensionati. Non me la sentivo di metterci la faccia. Normalmente questo tipo di operazioni si fa utilizzando obbligazioni o titoli di stato. Non poteva essere un pronto contro termine”.

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