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Dal dopoguerra alla Grande Pescara, gli ultimi quattro sindaci della città a confronto

Dal dopoguerra alla Grande Pescara, gli ultimi quattro sindaci della città a confronto

PESCARA, 14 novembre – Gli ex sindaci di Pescara, Carlo Pace, Luciano D’Alfonso e Luigi Albore Mascia, e l’attuale primo cittadino, Marco Alessandrini, a confronto. La storia amministrativa di Pescara, relativa agli ultimi 22 anni e mezzo, seduta allo stesso tavolo. L’occasione, nella serata di oggi, è stata la presentazione del volume “Molto Mosso“, di Francesco Mancini e Giacomo D’Angelo, basato sugli appunti e i documenti dell’ex primo cittadino e parlamentare pescarese Antonio Mancini, che governò la città dal 1956 al 1963. Presente anche il presidente del Consiglio comunale Antonio Blasioli.

Tanti i temi sul piatto, dall’area metropolitana allo sviluppo dei trasporti e delle infrastrutture, dal dopoguerra all’identità cittadina, fino alla vocazione economica e sociale del capoluogo adriatico. Il progetto della Grande Pescara, ovvero la fusione tra i comuni di Pescara, Montesilvano e Spoltore, approvato dai cittadini dei centri interessati attraverso il referendum di due anni e mezzo fa, si rivela una delle questioni più calde. Lo spunto è fornito da una delle tante intuizioni di Antonio Mancini, che già ai suoi tempi teorizzava la necessità di un’unione tra Pescara e Chieti.

Carlo Pace, primo cittadino dal 1994 al 2003, ricorda:

“All’inizio del mio mandato cercai di dare vita ad un allargamento di Pescara a Chieti e a Montesilvano, ma il campanilismo e i particolarismi impedirono quel processo. Non c’erano forze politiche in grado di sostenere quella proposta”.

Successivamente venne l’era di Luciano D’Alfonso, attuale presidente della Regione:

“Pescara ha le caratteristiche per essere una città modernissima, ma occorre abbandonare l’idea che un maggiore numero di abitanti regali qualcosa. Sono le funzioni l’elemento decisivo”.

Dal 2009 al 2014 fu la volta di Luigi Albore Mascia, che punge il suo predecessore:

“Io votai contro il progetto della Grande Pescara, ma ritengo che D’Alfonso, sulla base dell’esito del referendum di due anni e mezzo fa, debba rispettare la volontà dei cittadini e dare al più presto attuazione a quel progetto”. Che in effetti, nonostante il pronunciamento degli elettori, è ancora sepolto nei cassetti della Regione.

Alessandrini, sull’argomento, non si esprime e con lui il discorso vira su altre tematiche:

“Le idee e la visione di Antonio Mancini mi fanno pensare a quel concetto di comunità in movimento teorizzato da Adriano Olivetti. Ci sono questioni, come quella dell’area di risulta, che sono diventate ormai generazionali. Sono ormai 30 anni che ad esempio tentiamo di sistemare l’area di risulta e in tal senso, alla luce della riduzione delle risorse, oggi mi sembra sempre più necessario individuare forme di finanziamento pubblico-privato”.

Anche Pace si sofferma sull’eredità del passato e sulle tappe che hanno segnato lo sviluppo di Pescara:

“Mancini ci ha lasciato in eredità una visione ampissima, che fin dal dopoguerra ha assegnato un futuro di primaria importanza regionale alla città. In seguito, dagli Settanta e Ottanta in poi, quel processo evolutivo è rallentato, lasciando spazio ad una edificazione poco qualificata, che ha causato grandi problemi alla città”.

D’Alfonso affronta il tema dell’identità cittadina:

“Una volta un sacerdote mi spiegò che l’87% dei pescaresi non è nato a Pescara ed è proprio questa la forza di una città capace di fare sentire chiunque a suo agio e appartenente a questo luogo”.

Un argomento che appassiona anche Albore Mascia:

“Pescara è una città che non ha un’unica vocazione ben delineata e le sue apparenti contraddizioni, come la non appartenenza dei suoi cittadini, sono una forza che genera opportunità.

Poi il predecessore di Alessandrini rivela il suo grande rimpianto:

“Ai tempi di Mancini c’era un confronto politico tra galantuomini, mentre ora la situazione è imbarbarita e sono state proprio delle beghe, non provocate solo dall’opposizione, a far naufragare il progetto per la realizzazione di un teatro, nell’area di risulta, durante il mio mandato. Mancava pochissimo perché quel progetto andasse in porto”.

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