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Elezioni regionali, ecco Legnini: non si smarca da D’Alfonso, occulta il Pd e dribbla le domande

Elezioni regionali, ecco Legnini: non si smarca da D’Alfonso, occulta il Pd e dribbla le domande

PESCARA, 22 dicembre – Giovanni Legnini  è sceso ufficialmente in campo come candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione Abruzzo. L’annuncio, non a caso, è stato dato questa mattina, all’ex Cofa di Pescara, nel corso di un incontro con i 162 sindaci abruzzesi che avevano sottoscritto un appello per la sua candidatura. Sul palco e sui manifesti nessun simbolo del Pd e nessuna foto di Legnini. Il messaggio è già esplicito: protagonismo degli enti locali, passo indietro da parte di un partito in caduta libera e tentativo di aprire un percorso controcorrente rinunciando al leaderismo e privilegiando la partecipazione.

Il compito, in realtà, appare assai arduo per Legnini. I sondaggi lo danno terzo ai nastri di partenza, dopo i candidati di centrodestra e M5s. Pesa la disastrosa eredità che gli è stata lasciata da D’Alfonso, non solo in qualità di presidente della Regione ma anche come padre padrone del partito in Abruzzo. Un’eredità cristallizzatasi, alle ultime politiche, nei cinque punti percentuali in meno, ottenuti dal Pd in Abruzzo, rispetto ad un dato nazionale già ampiamente fallimentare.

Legnini magari vorrebbe, ma proprio non può smarcarsi dall’apparato dalfonsiano, che inevitabilmente risulterà indispensabile alle prossime elezioni. Al riguardo si limita a dire:

“Dell’eredità prenderemo tutto ciò che c’è di buono e ce n’è, mentre cambieremo tutto ciò che c’è da cambiare. I cittadini e gli amministratori ci chiedono di cambiare, noi vogliamo scrivere una pagina nuova per questa regione e non abbiamo bisogno di segnare né continuità né discontinuità, ma abbiamo bisogno che questa regione possa volare alto e guardare al futuro”.

Posizione un po’ pilatesca, che costringe Legnini ad indossare i panni del diplomatico. In sala, all’ex Cofa, c’è tanta gente: dai democrat in cerca di ricollocazione, come Fusilli, Di Pietrantonio, Catena e lo stesso sindaco Alessandrini, ai reduci di Leu, in eterno movimento tra mille sigle e partitini, come Melilla, Sclocco e Di Iacovo. Ci sono, soprattutto, tanti amministratori locali, ai quali Legnini si rivolge in apertura, procedendo all’annuncio ampiamente atteso:

“Siete tantissimi e questo mi dà carica, mi dà forza e mi dà ulteriore coraggio. L’emozione che provo oggi di fronte a voi è particolarmente elevata, perchè sento il peso della responsabilità nel comunicarvi che aderendo al vostro caldo invito mi candido a presidente di questa regione. Assumo nei vostri confronti due impegni. Mi impegno tra i primi atti a varare una nuova legge per conferire poteri effettivi al Consiglio delle Autonomie locali (Cal), che finora non ha funzionato, per far sì che tutte le decisioni che impattano sui poteri dei sindaci e sulla vita degli enti locali ricevano un parere effettivo e che di esso si tenga conto nell’attività legislativa regionale. Un secondo impegno che assumo con voi  è quello di istituire un canale di comunicazione diretto con i sindaci, utilizzando la tecnologia digitale e ogni altro mezzo, per far sì che le vostre proposte, critiche e istanze siano esaminate e se fondate accolte”.

Quindi il candidato del centrosinistra illustra la sua idea di coalizione, citando il Pd appena una volta, per ringraziarlo insieme al resto dei partiti e delle sigle che daranno vita alla coalizione:

“Non vi sarà più un partito e satelliti di quel partito, ma una coalizione ampia, una costellazione di soggetti candidati. Una coalizione plurale, un’alleanza tra progressisti e liberali, tra il popolarismo e i moderati di questa regione. Un campo largo, nell’ambito del perimetro delineato dai valori della Costituzione, dai valori fondativi del diritto dell’uomo e dai valori della democrazia rappresentativa”.

Poi Legnini strizza l’occhio agli elettori di M5s e centrodestra:

“Vogliamo rivolgerci, con rispetto, ai tanti elettori del M5s, che stanno constatando come le aspettative che avevano riposto nel cambiamento, tardano, nella migliore delle ipotesi, a realizzarsi, e con lo stesso rispetto vogliamo rivolgerci agli elettori del centrodestra, per dire loro di aderire e scommettere su questo progetto, perchè non li deluderemo e perchè noi vogliamo animare una nuova alleanza per l’Abruzzo, l’alleanza tra i cittadini, le forze politiche e le istituzioni locali per l’Abruzzo”.

Bisognerà pur dire qualcosa di sinistra e allora Legnini rispolvera il vecchio cavallo di battaglia del lavoro, rispetto al quale il Pd, in realtà, negli ultimi anni è apparso piuttosto latitante:

“La priorità, su tutte, è il lavoro, la tutela del lavoro che c’è e la creazione di opportunità per il lavoro che non c’è. La Regione c’entra con questo obiettivo, che va assunto come paradigma dell’azione di governo. Esiste una quota di cose possibili da fare che dipende dalla Regione e che noi dovremo fare, come il farsi rispettare anche dalle imprese multinazionali, che non si possono permettere di utilizzare, sfruttare, mandare a casa i lavoratori, non motivare, non presentarsi, come è già accaduto per la Honeywell e ora sta accadendo per la Ball. Vorrei peraltro che noi inviassimo da qui un forte abbraccio e solidarietà vera a quei lavoratori e a quelle famiglie, e vorrei ringraziare i sindacati, Giovanni Lolli e le associazioni datoriali per quello che stanno facendo per evitare che altre fabbriche chiudano”.

Un colpo al cerchio e uno alla botte, insomma. L’impressione è che Legnini voglia provare a tenere insieme tutto e il contrario di tutto, senza assumere chiaramente una direttrice politica. Se il M5s si proclama né di destra né di sinistra, insomma, Legnini prova ad essere sia di destra che di sinistra, sia con le imprese che con i lavoratori. Una ricetta per nulla nuova, che non sembra più in grado di funzionare.

Peraltro, visto che proprio all’interno del Pd, uno dei pochi punti fermi nell’analisi post batosta elettorale è stato il riconoscimento di essere stati percepiti come troppo vicini alle lobby di potere e poco alla gente, avremmo voluto chiedere a Legnini se anche lui, da vice presidente del Csm e frequentatore delle stanze del potere romano, non avverta il rischio di essere percepito come tale. Non appena abbiamo iniziato a formulare la domanda, tuttavia, Legnini ci ha interrotti e se ne è andato. Terremmo a ricordare a Legnini che non rispondere alle domande dei giornalisti, in particolare a quelle poco gradite, non ha portato granché bene ai suoi predecessori.

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