Pescara, l’addio del prefetto: “Io trasferito per Rigopiano? Chi lo pensa non è fuori dal seminato”
PESCARA, 9 novembre – Il prefetto Francesco Provolo se ne va e saluta la stampa. O almeno una parte della stampa, quella selezionata attraverso appositi inviti (appena cinque), con l’implicita esclusione delle altre testate giornalistiche. Insomma, la massima autorità dello Stato a Pescara si occupa anche di stilare gerarchie nel sistema dell’informazione. Forse, proprio questa gestione elitaria e questa distanza dal territorio e dalla sua gente, sono alcune delle ragioni che hanno contribuito a non fare scoccare la scintilla nel rapporto con la città e che hanno finito per costargli un trasferimento che lui – il diretto interessato – non sembra ancora avere digerito.
A partire dal 20 novembre prossimo, Provolo sarà a Roma, per ricoprire l’incarico di direttore dell’Ufficio centrale ispettivo presso il dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile. Il trasferimento, data la tempistica, sembrerebbe collegato con la gestione del disastro dell’Hotel Rigopiano. E’ lui stesso ad ammettere:
“Non so se sono stato trasferito per questo motivo. Non ho elementi ma non posso dire che chi la pensa così sia fuori dal seminato. Posso dire che il trasferimento non è avvenuto all’improvviso. Sono quasi due anni che sono a Pescara. I fatti sono avvenuti dieci mesi fa. Il trasferimento sarebbe avvenuto già prima”.
Dopo la tragedia di Rigopiano, è finito nel mirino di diversi familiari delle vittime, che accusano la prefettura di negligenze e responsabilità. Al riguardo, proprio ieri ha avuto un colloquio con il Comitato dei familiari delle vittime:
“Ho detto che è normale che non capiscano cosa sia successo, è normale che vogliono essere chiamati a capire veramente cosa sia successo a Ripogiano, è un loro diritto. Ho detto ‘non vi preoccupate della figura del prefetto. Se ritenete parlate di me nel modo che ritenete più opportuno, non mi offendo’. È importante che arrivino alla verità”.
Provolo, però, afferma di non avere nulla da rimproverarsi, pur riconoscendo che quella vicenda lo ha segnato e probabilmente lo segnerà ancora a lungo:
“La ferita non si è chiusa, nel modo più assoluto. La ferita della tragedia di Rigopiano rimarrà nel mio cuore. Non ci sono verità nascoste, bisogna soltanto tirarle fuori. Le cose sono state fatte alla luce del sole, ci sono carte che parlano, ci sono dichiarazioni, c’è un’attività in corso che è in mano alla magistratura. Non ci sono verità nascoste. La tragedia di Rigopiano è frutto di una tempesta perfetta e di coincidenze che un regista con tutti quegli elementi non sarebbe stato così bravo da riuscire a realizzare tanto”.
Secondo l’ormai ex prefetto di Pescara, “ora la città ha bisogno di ordinarietà”. In conclusione ripercorre i momenti salienti di quel maledetto 18 gennaio scorso, il giorno della valanga costata la vita a 29 persone: ricorda la riunione della mattina; le tre scosse, durante le quali – rivendica Provolo – “ho avuto la forza di rimanere freddo e seduto”; l’istituzione di una zona avanzata a Penne; le richieste di aiuto che arrivavano di tutti i fronti; la riunione dalle 15 alle 18 su tutto il fronte del blackout. Poi…
“Poi ha deciso la tempesta perfetta. Forse in tutti gli enti, chi risponde al telefono, deve avere una sua professionalità. Poi c’è il gruppo che deve accertare i fatti e valutare la tipologia delle richieste stabilendo la priorità”.